La costruzione dello stabilimento termale di San Calogero nel XIX secolo

Le architetture presenti nel disegno di Jean-Pierre Houël, con grande probabilità le uniche presenti al tempo del suo viaggio, non erano sufficienti ad accogliere in maniera continuativa i degenti che richiedevano di farsi curare, al punto da richiedere un radicale ripensamento.

Per questo motivo negli anni 1865-’66, durante l’amministrazione del sindaco Angelo Florio Paino, si progettò di realizzare un edificio più complesso e adeguato alle esigenze, la cui costruzione fu completata durante il mandato del sindaco Giuseppe Maggiore (1867-1890) che si presentava secondo le caratteristiche insediative, tipologiche e volumetriche riportate nel disegno dell’arciduca Luigi Salvatore D’Austria.

Nella descrizione a corredo egli descrive lo stabilimento come «un imponente edificio di buona fattura […] con alla destra, all’ingresso, la grotta a volta con sedile a giro, dove sgorga la sorgente, le cui acque defluiscono nelle vasche di raffreddamento poste a riparo di un’altra volta a botte più pronunciata» [Paino 1982, 54].

L’arciduca, le cui visite alle Eolie divennero più frequenti soprattutto dopo il 1875, riteneva meravigliosi i panorami e «ristoratrice anche l’aria che qui si respira», tanto che descrisse accuratamente le bellezze dell’arcipelago negli otto volumi di De Liparischen Inseln.

Nello stesso periodo le acque termali di San Calogero furono oggetto di studio da parte del geologo Guglielmo Jervis che le incluse nella sua Guida alle acque minerali d’Italia (1868-1876, 1881) [Berrino 2014, 129-130].

Per rendere possibile la costruzione del nuovo grande complesso edilizio non ci si fece scrupolo nel demolire la totalità dei resti delle costruzioni ricettive a valle della thòlos, cui facevano cenno le descrizioni di Campis e di Houël.

Lo stesso complesso termale greco-romano originario fu radicalmente
ristrutturato. È possibile, ad esempio, notare che la cupoletta minore riportata a destra nel disegno di Houël fu demolita, mentre la cupola maggiore, identificata con la thòlos, fu inglobata in un nuovo corpo di fabbrica e collegata tramite un angusto vestibolo che consentiva l’accesso
diretto alla stufa termale dal nuovo edificio a essa addossato.

Questo vestibolo si prolungava poi verso est in una vasca di forma molto allungata, coperta con una volta, nella quale defluivano le acque termali, provenienti dal volume con la cupola maggiore, utile forse per contribu re a mantenere la temperatura costante.

Al di sopra della struttura così descritta, in corrispondenza del piano superiore dell’edificio, furono inoltre aggiunti due grandi vani.
La vasca era accessibile dal vestibolo solo attraverso una finestrella da cui, con difficoltà, poteva appena passare un uomo, mentre sia la vasca sia il vestibolo si aprivano ciascuno verso l’esterno con una finestra di dimensioni piuttosto ridotte.

A fronte di una complessità interna, data dalla necessità di collegare le parti storiche con i nuovi corpi di fabbrica, la struttura termale si presentava esternamente come un grande parallelepipedo a due livelli, poggiato su di un basamento lasciato quasi appena sgrezzato, sia per le funzioni di servizio secondarie che ospitava, sia probabilmente per meglio raccordarlo con il carattere naturale del sito.

La stereometria dell’architettura è apprezzabile dalla ricostruzione del disegno in pianta, due piani sovrapposti da 463 mq circa (17,00 m x 31,00 m), cui si aggiunge un’ariosa terrazza posta a ovest che si affacciava direttamente sul mare.

Dalla descrizione di Luigi Bernabò Brea si legge: «si costruì allora, addossandolo immediatamente alla cupola termale principale, un grande edificio a due piani con finestre sul lato lungo e due ai lati di un balcone mediano sul lato breve sia verso valle che verso monte» [La Greca 2004, 49].

Il basamento, impostato a quota -4,00 m rispetto al piano principale, era composto da una cantina e da una grande vasca di riserva d’acqua dolce. Il piano d’ingresso era strutturato secondo un asse centrale, un ampio corridoio lungo quasi 26,00 m e largo 4,00 m, da cui si accedeva a otto camerini per la balneo-fangoterapia, sei camere da letto, una cucina, due locali per la preparazione e l’applicazione dei fanghi, una cappella, una vasca di raffreddamento, fino a raggiungere un ambiente dalla conformazione simile a una grotta naturale utilizzata come sauna, l’antica thòlos.

La thòlos delle Terme di San Calogero è un’architettura, fortunosamente preservata, del XV secolo a.C. che documenta della secolare frequentazione delle acque termali di Lipari e che riporta in quel piccolo volume voltato l’originario rapporto tra le culture del Mediterraneo.

Nel corso dei lavori di restauro degli anni Ottanta quell’antichissima stufa divenne accessibile e per la prima volta fu visto il suo interno: era spettacolare.

Si scoprì allora che era di una struttura singolare, che rimandava a quella delle thòloi funerari micenei: non era dunque un avanzo romano, come tanta letteratura aveva ripetuto, bensì una tholos che risaliva all’epoca micenea, la cui presenza andava letta all’interno dei rapporti che univano le Eolie al mondo egeo.

La storia del termalismo in Italia conquistava una profondità storica vertiginosa come la volta di quella tholos [Berrino 2014, 133-134].
Il piano superiore, raggiungibile attraverso una scala interna, era distribuito, allo stesso modo, secondo il corridoio centrale e ospita dodici camere da letto, una sala pranzo e due magazzini.

La struttura era in muratura portante, costituita da grossi setti dallo spessore di 60 cm, e voltata. Distaccata dal fabbricato principale era inoltre presente una piccola costruzione di supporto a un unico livello, con cinque locali adibiti a magazzini.

I prospetti dell’edificio principale, eretti con uno spessore murario di circa 70 cm, erano intonacati e pitturati con una colorazione giallo ocra – come mostra anche il manifesto litografico originale – che è stata mantenuta anche a seguito dei lavori di restauro novecenteschi.

La partitura delle superfici è segnata da cornici che corrono lungo il marcapiano, all’altezza del colmo dell’arco delle finestre del piano terra e lungo il profondo davanzale al primo piano, concludendosi poi con un
cornicione modanato piuttosto aggettante.

Il lato del prospetto considerato secondario era stato lasciato in muratura; su di esso erano praticate delle aperture solo per ragioni funzionali: un’apertura e una finestra al pianterreno e tre affacci al piano superiore, uno verso l’interno del cortile e l’altro verso ovest.

 

L’area archeologica totalmente nascosta, era ricoperta da un piazzale che fungeva da ingresso principale alla struttura, al quale si accedeva direttamente dalla strada attraverso una cordonata in ciottoli, sorretta da un muro alto circa 4,00 metri e su cui si apriva un cancello sul lato nord-est.
Solo con i lavori di scavo condotti da Luigi Bernabò Brea e Madeleine Cavalier, fu riscoperta, identificata e rilevata l’area archeologica.

Subito dopo la sua costruzione, lo stabilimento fu considerato un’opera notevole per la sua capacità di interpretare le esigenze degli avventori e di far fronte alle diverse funzioni medico-terapeutiche richieste – antroterapia, fangoterapia, idropinoterapia – conquistando una certa rinomanza per le qualità delle acque, classificate come ipertermali e ad alta efficacia terapeutica.

Gli ospiti dello stabilimento, data la difficoltà nel raggiungerlo, in genere permanevano nella struttura per un periodo variabile da qualche giorno a qualche settimana. Le camere da letto, situate al piano superiore, potevano accogliere fino a due ospiti alla volta, che trascorrevano le loro giornate, come consigliato anche dal medico liparese Cincotta, tra abluzioni, ingestioni di liquido e permanenza nella “stufa” o “forno”.

 

Questa la struttura, di certo la più originale e caratterizzante del complesso termale, era utilizzata durante le prime ore del mattino e per un massimo di 5 minuti alla volta, seguiti da almeno un paio d’ore di riposo. Gli ospiti infatti, dopo essere stati cosparsi di fango e ricoperti da una pesante coperta di lana, all’interno della stufa erano esposti ai vapori di un’acqua che poteva superare i 65°.

 

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Mollica, C., Schepis, F., & Quattrocchi, A. (2019). I luoghi e l’immagine storica delle Terme di San Calogero nell’isola di Lipari. Eikonocity. Storia E Iconografia Delle Città E Dei Siti Europei, 4(1), 27-43.

 

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